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150^ ANNIVERSARIO UNITA' D'ITALIA

 

 
 
 
IL RISORGIMENTO ITALIANO
 
Se volessimo fare un attimo memoria di come le generazioni del secondo dopoguerra, le nostre generazioni per intenderci, - ma crediamo che cio’ valga anche oggi- hanno appreso i fatti storici del Risorgimento italiano e più in particolare di cio’ che accadde tra il 1848 e il 1870 non possiamo tacere il fatto che abbiamo conosciuto questo periodo attraverso sussidiari e libri di storia che abbondano di retorica entusiasta. E’ appena il caso di ricordare che il padre di tutti questi manuali di storia risorgimentale è stato il libro Cuore di Edmondo De Amicis pubblicato nel 1886. Nel famoso libro, l’eroica mitologia dei quattro padri della patria, che in ordine di popolarità sono Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour e Mazzini viene così presentata: Garibaldi : Affranco’ dieci milioni di italiani dalla tirannia dei Borboni. (…) Quando gettava un grido di guerra, legioni di valorosi accorrevano a lui da ogni parte. (….) Sui campi di battaglia era un fulmine, negli affetti un fanciullo, nei dolori un santo;  Vittorio Emanule : Primo re d’Italia, morto dopo 29 anni di regno, che egli aveva fatto illustre e benefico col valore, con la lealtà, con l’ardimento nei pericoli, con la saggezza nei tronfi;  Cavour l’astuto e raffinato primo ministro mando’ l’esercito piemontese in Crimea a rialzare con la vittoria della Cernaia la nostra gloria militare caduta con la sconfitta di Novara; Mazzini : Grande anima di patriota, grande ingegno di scrittore, ispiratore ed apostolo primo della rivoluzione italiana.
 
Tutto questo per sottolineare che nella formazione della coscienza storica degli italiani nelle scuole elementari fino alle superiori il Risorgimento resta una sintesi della Prima (1848/1849) e della Seconda guerra di indipendenza (1859), con rapidi accenni alla guerra di Crimea (1853/1856) e alla annessione del Veneto (1866). Più spazio viene data alla spedizione dei Mille (1860) “mito risorgimentale” per definizione. Ma al di la della rappresentazione scolastica se ancora resta qualcosa da capire meglio del Risorgimento italiano è come abbia fatto la penisola dei tanti campanili a diventare l’Italia unita, proprio 150 anni fa, come oggi, 17 marzo 2011. A ben guardare proprio il nostro atto di nascita, un atto che noi ricordiamo solo ogni 50 anni e che invece, per fare due esempi più conosciuti al mondo, i francesi ricordano ogni anno con una grande festa il 14 luglio (presa della Bastiglia 1789) e gli americani con una festa altrettanto maestosa il 4 luglio (dichiarazione di indipendenza del 1776).
Fatta l’Italia, nonostante tutto, manca ancora, dopo 150 anni, una coscienza unitaria: siamo rimasti napoletani, torinesi, milanesi, siciliani, romani, veneti, fiorentini, bolognesi, brianzoli. E poco italiani. Che fare? Forse cercare proprio di ricostruire come siamo diventati ognuno parte di una nazione comune potrà aiutare a capirlo.
 
Cosa vuol dire esattamente Risorgimento
Risorgimento viene da risorgere ossia rivivere, risollevarsi. Con questo termine si suole anche disegnare quel vasto movimento culturale, sociale, economico grazie al quale l’Italia emerse dal provincialismo stagnante dei secoli precedenti al 1861 nonché il processo storico a seguito del quale i dominatori stranieri furono cacciati dalla penisola e i vari stati che formavano l’Italia vennero uniti in una sola entità politica, il Regno d’Italia, appunto nel 1861. Si è da più parti sostenuto che i due aspetti, quello culturale e quello politico, furono reciprocamente collegati dalla comune esigenza di LIBERTA’. Indipendenza, unificazione, libertà furono i temi portanti del Risorgimento. Tra il 1859 e il 1861 tutti e tre gli obiettivi furono raggiunti, seppure all’improvviso e quasi miracolosamente dopo l’epica spedizione garibaldina dei mille. L’Italia, insomma, da "mera espressione geografica" come disse Metternich nel 1847, divenne una istituzione nazionale pur sotto una monarchia costituzionale e con un governo parlamentare.    
 
Com’era l’Italia di allora
"Abbiamo fatto l’Italia ora dobbiamo fare gli italiani." Questa famosa frase attribuita a Massimo D’Azeglio sintetizza molto bene come e in quali condizioni si presentava sul palcoscenico europeo l’Itali del 1861. In quel momento il nostro paese contava 26 milioni di abitanti che non si capivano tra di loro. Il dialetto era la lingua più diffusa, poco più di mezzo milione erano coloro che conoscevano l’italiano ossia la lingua di Dante, del Boccaccio e di Machiavelli e i tre/quarti, cioè quasi 20 milioni, non sapevano né leggere né scrivere. In sostanza da noi meno del 2% della popolazione poteva esercitare il diritto di voto. Appena in 419 mila italiani erano gli aventi diritto di voto ed appena in 240 mila votarono effettivamente per eleggere il primo parlamento. L’unità fece presa sulla gente ma non riusci a modificare le condizioni di vita dei cittadini. Infatti il nostro reddito pro-capite era la metà di quello inglese e i 2/3 di quello francese. Eravamo un paese povero di risorse, di materie prime e di infrastrutture. Eravamo quasi tutti contadini e braccianti ed eravamo alti 163 centimetri; l’aspettativa di vita alla nascita era di non più di 30 anni. La nostra dieta era molto ricca di carboidrati e molto povera di proteine.
 

vedi album

Documenti
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